Parlare di mafia nell’era digitale: «Ostaggi della tirannia dei click»

Sara Menafra e Walter Molino ospiti dell’ultima serata del festival della legalità di Gazoldo. Il 30 settembre il racconto di Donati

«L’informazione sulle mafie ai tempi dei media digitali deve muoversi sul sentiero stretto che passa da un lato dalla tirannia dei click, che certifica la disaffezione degli utenti per il tema mafie, e dall’altro lato dall’ossessione momentanea per alcuni personaggi e per le loro modalità d’azione, come ha dimostrato il caso di Matteo Messina Denaro».

La riflessione, amara, è di Sara Menafra, giornalista di Open, tra gli ospiti dell’ultima giornata di “Raccontiamoci le mafie”. Con lei, il 1° ottobre a Gazoldo degli Ippoliti, si è interrogato sui “Nuovi modi per far conoscere le mafie” Walter Molino di Report. Moderatore dell’incontro Riccardo Guido, scrittore e già consulente della Commissione parlamentare antimafia.

«Come professionista parte di un network internazionale di giornalismo investigativo – ha aggiunto Menafra – auspico che anche in Italia si possa realizzare un sistema digitale che ci permetta di incrociare atti giudiziari e dati economici in modo da poter sviluppare inchieste sull’impatto delle mafie nell’economia reale soprattutto al nord».

Delle difficoltà, proprio al nord, di raccontare le mafie, ha parlato Molino: «Noi giornalisti troviamo ostilità, silenzio e omertà anche al nord quando facciamo inchieste sulle mafie. Ci troviamo in difficoltà, inoltre, a svolgere il nostro lavoro per la nuova normativa di accesso agli atti giudiziari. E veniamo spesso raggiunti dalle querele temerarie: sono spade di Damocle sul nostro lavoro di inchiesta».

A chiudere gli eventi, in serata, la proiezione del film “Ariaferma” al Cinema del Carbone di Mantova. L’evento, incentrato sul tema della giustizia riparativa, è stato introdotto da Mauro Palma, presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. La serata è stata dedicata alla memoria del sacerdote ostigliese don Roberto Guernieri, cappellano per 30 anni del carcere di Rebibbia e scomparso nel 2021.

La sera del 30 settembre si è parlato, invece, di doping con Alessandro Donati, autore del volume “I signori del doping”, libro in cui ha raccontato la propria vicenda personale. Donati è il simbolo mondiale della lotta contro il doping. La sua storia lo lega ad Alex Schwazer, oro olimpico nella 50 chilometri di marcia a Pechino 2008 e poi squalificato per doping poco prima di Londra 2012.

Nel 2014, Schwazer chiese aiuto a Donati per tornare competitivo, senza uso di farmaci. «È un baro che accetta una sfida» spiega il moderatore della serata, il giornalista Adalberto Scemma. Qui, però, si innesta la storia, che è «il resoconto di una vera battaglia – ha scandito Scemma – che non è una lotta a un sistema corrotto, ma una lotta contro l’unico sistema che esiste: quello del doping».

La storia di Donati, articolata con non poca sofferenza da parte dello stesso autore, lo ha portato a scrivere un volume unico nel suo genere; una denuncia di «un sistema – ha detto l’autore – che da fiume superficiale, non solo non è scomparso, ma è diventato carsico».

Il lavoro con Schwazer, infatti, produce risultati perché l’atleta «è di suo dotato, e lo dimostra quanto abbiamo fatto insieme». Donati ha illustrato nel dettaglio il lavoro fatto e la costanza dell’atleta. «Arriva il momento del primo test, che eseguiamo in un campo in Abruzzo. Va ricordato che il mondo dello sport, se sei dopato, ti emargina da tutto. Sembra non esserci redenzione».

A quel punto Schwazer ottiene un risultato eccezionale, e la sua vicenda preoccupa. Il metodo di lavoro attuato dimostra che si possono ottenere risultati senza ricorre al doping. Donati ha fatto nomi e cognomi e indicato i trattamenti.

«Vien da chiedersi che senso della democrazia abbiamo se, una volta a conoscenza di questo sistema ramificato, si sta zitti. Vengo anche messo sotto indagine dai gruppi sportivi militari. Mi difendo con una memoria che porta all’archiviazione del caso, ma a nessuna indagine sulla vicenda» ha concluso Donati. Con l’accento su silenzio, paura, soldi e su un sistema ramificato che, nei fatti, è «un modello mafioso che domina nello sport ad alto livello».

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