Mika, ex moglie reclusa: «A Mantova sono rinata»

Tenuta prigioniera dal potente di turno è scappata dall’ex Unione Sovietica dopo aver subito anni di segregazione

È nata in una ex repubblica sovietica, in una delle città caucasiche dove la democrazia ha regole incerte. Luoghi dove ancora oggi chi rappresenta l’autorità si ritiene padrone di tutto. Ed è in mano a uno di loro, ricco e potente, che era finita.

Il sequestro

Sequestrata alla sua vita di ambizioni, resa madre due volte, tenuta sotto chiave per un periodo lunghissimo: dodici anni. I bimbi, nati nel frattempo, andavano a scuola accompagnati in auto dall’autista. Lei passava le sue giornate da reclusa, una finestrella lontano dalla strada: cucinare, stirare la divisa, pulire le scarpe del suo sequestratore, crescere i figli. Oltre ad averne paura quando di notte tornava a casa ubriaco. Sembra tutto incredibile ma la spiegazione c’è: tenuta sotto scacco con la minaccia di pesanti ritorsioni contro la sua famiglia, per proteggere le vite dei genitori e del fratello, che potevano essere rovinate, è rimasta zitta. E ha subito. Anche questo può accadere in luoghi dove chi è dalla parte del potente di turno, può farla franca.

La fuga

Ora Mika, così la chiamano tutti, è a Mantova da tre anni, dove vive e lavora, e il coraggio di chiedere aiuto e di scappare l’ha trovato sette anni fa, grazie al fratello che, pagando, ha ottenuto per lei un visto turistico e organizzato una fuga complessa. Passati i confini verso l’Europa, da migrante Mika ha chiesto asilo politico in Svezia dove è arrivata con i suoi figli.

«Per tre anni non ho potuto parlare con i miei genitori, purtroppo ho perso la mamma, e non ho potuto riabbracciarla» racconta mentre i suoi occhi scuri rimettono a fuoco il buio di un passato terribile.

Le minacce

«Tornavo dall’università _ l’accademia diplomatica che equivale a diritto internazionale _ ero al mio primo anno. Lui mi ha vista, prima mi ha avvicinata con una rosa, poi ha organizzato il mio rapimento. Le minacce verso la mia famiglia mi costringevano a subire, avevo solo diciannove anni. Prima ho perso due gemelli, poi sono arrivati i miei due figli. La mia è una condizione comune, ci sono ragazze che sono state uccise. Ora per fortuna le persone capiscono che possono chiedere aiuto per non cadere vittime di mostri».

L’arrivo a Mantova

Mika un sostegno lo ha trovato a Mantova, accolta in un alloggio protetto per tre anni, e da un’assistente sociale che l’ha aiutata a inserirsi nella sua nuova città, prima in un gruppo teatrale, poi a frequentare la scuola per stranieri del Cepia e poi con il progetto “Milena” del Centro aiuto alla vita per donne vittime di violenza che la indirizza in un laboratorio di sartoria: «Sapevo solo cucire i costumi di carnevale dei bambini ma a DrittoFilo mi hanno insegnato, ho fatto un tirocinio retribuito».

Il lavoro

Da un anno è stata assunta alla Lubiam come sarta operaia e dopo il permesso di lungo periodo avrà la cittadinanza. I figli sono cresciuti e lavorano. Mika oggi ha 45 anni e non ha più paura: «Questa è la mia prima libertà».

Gloria De Vincenzi

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