Il Casalmoro che nel 1979 riuscì a salire in Seconda, Bandera: «In 400 al campo»

di Matteo Sbarbada
Le squadre della leggenda/116. Il nostalgico ricordo dell’ex centrale: «I nostri ultras erano 3, di 80 anni l’uno. Il doping? Il salame casalino»

MANTOVA.  «Quel giorno attorno alla recinzione c'era tutto il paese di Casalmoro. Non credo abbiano mai più rivisto tutta quella gente al campo». Il 15 aprile 1979 è Pasqua, ma si gioca lo stesso. I calciatori non hanno un sindacato che gestisca al meglio il rispetto delle feste. Il Casalmoro attende la corazzata Castellana per la sfida al vertice del torneo di Terza.

Sarà trionfo per i padroni di casa, vittoriosi 2-0 grazie ai gol di Bandera e Bianchi. Il duello in graduatoria proseguirà anche nelle giornate restanti, ma il Casalmoro non mollerà più la vetta e festeggerà il salto in Seconda. «La società inseguiva la promozione da alcuni anni - racconta Stefano Bandera, stopper della formazione - In quella stagione tutti i tasselli andarono a posto. C'era uno zoccolo duro di ragazzi del paese alla giusta maturazione: Mutti, mediano alla Furino, Bianchi, centravanti moderno con carattere e tecnica, la coppia di terzini formata da Barbieri e Guindani, veri precursori delle sgroppate sulle fasce tanto in voga oggi. C'ero io, stopper diciottenne, e baby come Motta e i fratelli Claudio e Carlo Danieli. E poi Marini, seconda punta che quell'anno fece 17 gol. Un gruppo forte, costruito negli anni».

Per compiere il salto serve qualche altro innesto. Che arriva con un blitz di mercato, guarnito da salami come contropartita. «La Castellana voleva dominare il torneo. Acquistò elementi di categoria superiore e lasciò liberi alcuni ragazzi di Castel Goffredo. In quattro arrivarono da noi: il portiere Bianchini, il libero Rodella, il tornante Cason e il metronomo Pezzini». La squadra è pronta e la dirigenza compatta. Al fianco di patron Alessio Esterino, un gruppo affiatato di dirigenti: Merli, Raza, Romanelli, Barbieri. Il mister è l'asolano Arcini. «Il suo motto era palla lunga e pedalare, come di moda all'epoca. Diciamo che non era un fautore della costruzione dal basso. Compito dei difensori era dare al pallone la pedata più forte possibile. Erano anni di puro dilettantismo. A fine gara si andava al Bar centrale da Rocco: vino rosso e salame nostrano».

A sostenere la squadra un terzetto di tifosi irriducibili. «Gigi Sabbadini, detto il "furmaier", visto che aveva un negozio di formaggi, Broglia e "savata" Bertoni. Io ero giovane, e forse per questo mi parevano molto anziani, ma credo avessero 240 anni in tre. Ci seguivano in tutte le trasferte con una 128 gialla. Arrivati al campo, Broglia estraeva dal baule una piccola sedia da scuola e si sedeva dietro la rete. Per anni furono i nostri ultras», sorride Bandera. La partita con la Castellana, con i 400 spettatori, resta il ricordo più bello.

«Il calcio era tutto in paese, non c'erano altri sport. La sera dopo la partita il sindaco ci invitò a casa sua dove diede una festa che durò fino a mezzanotte. Io, asolano, ero cresciuto nel Casalmoro, debuttando in prima squadra a 15 anni. Da stopper, ricordo vere guerre con i centravanti. Nella partita con la Castellana segnai il rigore del vantaggio. Niente male per uno stopper, il cui compito era solitamente quello di seguire il giocatore da marcare ovunque. E quante parole dal mister, se si abbandonava la posizione». —

Matteo Sbarbada

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