In sala

Il segreto di «Confidenza» è il lato oscuro della vita

di Gian Paolo Laffranchi
Film tratto dal romanzo di Domenico Starnone, diretto da Daniele Luchetti e sceneggiato dallo stesso regista insieme a Francesco Piccolo

«Confidenza», sì. Ma quale? La domanda, anzi meglio: le domande aleggiano fin dalle prime battute del film tratto dal romanzo di Domenico Starnone, diretto da Daniele Luchetti e sceneggiato dallo stesso regista insieme a Francesco Piccolo. Il segreto meglio custodito che si trasforma in una minaccia latente e fa vivere sotto ricatto, McGuffin di un’opera che non vuol mai compiacere e ha il pregio di disturbare dall’inizio alla fine: impresa non da poco, nell’arco di 2 ore e un quarto.

L’aspetto più chiaro fin dal principio di questo racconto inquietante, agli occhi di chiunque abbia masticato un po’ di cinema e letteratura, è che risposte nette non ce ne saranno. Niente spoiler: semplicemente non è aria, qui.

Siamo a Hanging Rock e dintorni, si può fare un Picnic con Weir (o Polanski). È un thriller più vicino a Pirandello che a Hitchcock (comunque omaggiato dalla regìa). Succede poco, ma l’investimento emotivo è notevole. La psicologia prevale sull’azione mentre sogno e realtà s’intrecciano così bene che nemmeno importa distinguerli più di tanto. Non c’è nodo da sciogliere, è un lavoro a ipotesi e non a tesi. La costruzione è orizzontale, accelera da zero a 100 in un flash-forward e riavvolge subito il nastro dipanando una vicenda via via più complessa per le anime che s’incrociano, s’incontrano e scontrano.

Non ci sono incastri felici né svolte epocali, tutto è sempre (anche) quello che non sembra. Così è il grande cinema: un po’ come la vita.

Nessun calo d’attenzione

Lo spettatore non ha modo di assopirsi seguendo i saliscendi di Pietro Vella (Elio Germano), docente-scrittore da troppo tempo impegnato a mostrarsi migliore di quello che è, disperato ai piedi di un abisso così distante dal sorriso sornione sfoggiato da giovane insegnante di liceo negli anni ’80.

Nel suo cuore, il peso della relazione allacciata con un’allieva brillante e più foolish che hungry, Teresa Quadraro (Federica Rosellini). L’allieva ascolta il maestro innamorato: riprende gli studi universitari e diventa una celebrità mondiale della matematica superando ampiamente la sua insegnante Nadia Labaro (Vittoria Puccini), destinata invece a sposare proprio Pietro. Attori perfetti. Germano sa essere tragico quanto Puccini monocorde, Rosellini è la vera, spaventosa sorpresa.

Funzionano pure i personaggi laterali, Tilde (un’Isabella Ferrari cristallina nell’assoluta mancanza di morale) come Emma (la figlia di Pietro e Nadia interpretata da Pilar Fogliati, erede inconsapevole di un dramma). «Confidenza» più che capire è un sentire, stridori e fremiti di una colonna sonora che provoca: i lampi jazz di Thom Yorke sono un invito a guardare dietro la porta di camera nostra, oppure sotto il letto, o nel ripostiglio. Temendo di trovare uno specchio che rifletta il nostro lato oscuro, o più semplicemente ci smascheri come banali impostori.

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