La recensione

«Il coraggio di Blanche», forma e sostanza

Virginie Efira e Melvil Poupaud
Virginie Efira e Melvil Poupaud
Virginie Efira e Melvil Poupaud
Virginie Efira e Melvil Poupaud

Non è l’ennesimo lamento per la mancanza di appropriatezza ed eleganza dei titoli attribuiti dai distributori alle pellicole straniere: «Il coraggio di Blanche» stavolta ha una sua pertinenza ed efficacia. Blanche (Virginie Efira) è effettivamente una donna coraggiosa, invenzione della penna dello scrittore Eric Reinhardt e finita su pellicola grazie alla sceneggiatura e alla messa in scena di due donne di cinema: Audrey Diwan e Valérie Donzelli, che ha scritto e diretto il film in maniera talmente impeccabile che si pensa a Hitchcock anche per la perfezione formale e non solo per la materia del contendere.Il romanzo di Reinhardt si intitola «L’amour et les forets», e il tema delle foreste, del contrasto tra le marine di Normandia e i boschi di Metz, è tutt’altro che secondario; così come è importante l’opposizione tra l’amore, il fuoco della passione che accende la relazione tra Blanche e Grégoire (Melvil Poupaud), e l’insicurezza, la paura, l’orrore che contaminano il loro matrimonio. Dopo la scena di seduzione iniziale, la vita da innamorati di Gregoire e Blanche si trasforma infatti in un classico ménage famigliare. Grégoire lavora in banca ed è trasferito a Metz e così Blanche deve lasciare la casa in Normandia, la sua dolce e bella famiglia, l’adorata gemella (Virginie Efira recita entrambi i ruoli) per seguire il marito, che nel frattempo manifesta sintomi inquietanti, mania di controllo e gelosia morbosa. Ed è un aspetto intrigante, una riuscita invenzione, avere scelto la casa nei boschi sia come luogo degli affetti famigliari che come luogo dell’avventura, dettaglio che prenderà forma solo nel racconto fatto a posteriori dalla solare, determinata e consapevole Blanche. F.Bon.

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