A San Rocco di Quistello la statua del capolega e il milite ignoto dei campi

Il 1° maggio di 50 anni fa a San Rocco di Quistello venne inaugurato il monumento in ricordo delle lotte dei braccianti

Da cinquant’anni il capolega veglia su San Rocco dal suo piedistallo in marmo. È il monumento dedicato ai braccianti mantovani che a fine ’800 si riunirono per resistere alle angherie dei padroni e far valere i loro diritti in un’epoca di malnutrizione e orari di lavoro massacranti.

Una sorta di milite ignoto delle campagne, lo definì il ministro del Lavoro di allora alla cerimonia di inaugurazione il 1° Maggio del 1974. Erano giorni travagliati, quelli, per l’Italia. Il terrorismo muoveva i primi passi (il magistrato Sossi era appena stato rapito dalle Brigate Rosse), si stava preparando la stagione stragista sui treni e nelle piazze (piazza della Loggia deflagrò a fine mese).

La crisi economica mordeva allora come adesso e, in più, l’Italia si stava dividendo in vista del referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio. Si parlava anche di unità sindacale, ma Cgil, Cisl e Uil continuavano a marciare ognuno per conto suo.

L’unione

Era in questo clima di tutti contro tutti che fu inaugurato il monumento realizzato da Giuseppe Gorni a ricordo della prima lega contadina d’Italia sorta a San Rocco di Quistello nel 1890, anche se sulla data non c’è accordo tra gli storici.

Poco importa; quel che conta è l’idea che quella statua raffigurante il capolega baffuto, con mani e piedi grandi pronto ad affrontare ogni avversità, rappresenta: l’unione che porta al riscatto i lavoratori sfruttati. Fino al 1915 quella lega rappresentò un punto di riferimento importante e insostituibile per gli uomini dei campi, una forma di società nella società che dava aiuto ai propri membri, distribuendo lavoro a chi non l’aveva e forme di assistenza alle loro famiglie nei momenti del bisogno.

L’artista

A ideare quella statua fu Giuseppe Gorni, artista di fama originario di Nuvolato, a pochi chilometri di distanza, ma soprattutto vicino a quei contadini per sentimento e idee. Dai 6 ai 16 anni abitò, infatti, nel fondo Castiona, oggi abbandonato, a poca distanza dall’abitato di San Rocco, che il padre aveva preso in affitto per condurlo con i braccianti.

Erano gli albori del ’900. Il genitore era, come si direbbe oggi, un progressista, non sfruttava i lavoratori e si faceva volere bene. Gorni potè rendersi conto direttamente non solo di quanto lavorassero, ma anche che si poteva stare dalla loro parte, non sfruttarli ma migliorarne le condizioni di vita.

«Ricordai i contadini grondanti di sudore e le donne chine a mietere sotto il sole» disse alla Gazzetta di Mantova nell’aprile del 1974 per spiegare perché accettò la proposta di ideare un monumento al primo capolega. Gli vennero alla mente gli scioperi nelle campagne, la repressione delle autorità.

E si ricordò del capolega che «era sempre lì, davanti a gente povera che soffriva la fame». «Sentii il dovere di fare qualcosa di importante per questi sconosciuti». E quel qualcosa fu il monumento, inaugurato solennemente il 1° maggio 1974.

Il ministro

Alla cerimonia intervenne nientemeno che il ministro del lavoro nel governo Rumor di allora, il socialista Luigi Bertoldi. Una presenza che calzava a pennello visto che a quella prima lega contadina si aderiva solo se si era iscritti al locale circolo socialista. Nel suo discorso il rappresentante del governo spiegò, in sintesi, che cosa fu la lega, «un’autodifesa dei lavoratori contro l’egoismo della classe padronale».

Fu, insomma, «la prima indicazione che in Italia era maturata una coscienza profonda nei lavoratori oppressi, ora consapevoli dei propri diritti». Quei lavoratori, si scoprirà dopo, che uniti riuscirono a sconfiggere il terrorismo e a salvare la libertà e la democrazia.

A colpire la folla fu la definizione che il ministro usò per quel monumento che rappresentava, a suo dire, «il milite ignoto delle campagne», un contadino che «aveva combattuto la sua guerra».

E come all’altare della patria, a Roma, si rende omaggio al sacrificio dei tanti che caddero per l’Italia unita, a San Rocco si va per onorare quella statua, l’umòn come affettuosamente lo chiamano i quistellesi, per quello che rappresenta.

Con uno sguardo all’epigrafe di Umberto Terracini, allora capogruppo Pci in Senato, sollecitato dal comitato organizzatore a vergare la statua: «Nel pugno la falce, dritto lo sguardo ai campi sudati, i lavoratori della terra in crescente moltitudine mossero alla lotta, resistettero e vinsero».

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